Il mulino ad acqua di S. Lucia a Palazzolo
Il mulino ad acqua di Santa Lucia, uno dei pochi ancora perfettamente funzionanti, è stato aperto al pubblico anche quest’anno all’interno delle manifestazioni estive, promosse dal comune di Palazzolo Acreide. Il mulino ubicato nella cosiddetta “Cava dei mulini”, animato dalle acque del torrente Purbella, si raggiunge, da una stradina che parte dal posteggio del cimitero di Palazzolo. La ristrutturazione e l’apertura al pubblico, di quella che può essere considerata una importantissima sopravvivenza culturale del nostro territorio, si deve all’Associazione per la conservazione della cultura popolare degli Iblei fondata e diretta dall’etno-antropologo Rosario Acquaviva. (www.museobuscemi.org)
I primi mulini ad acqua apparvero in Asia minore nel II secolo a.C, in Sicilia invece si diffusero solo durante la dominazione araba. Ma cosa determinò un ritardo quasi millenario nell’introduzione di una tecnica tutto sommato semplice, specie se rapportata alle imponenti opere edilizie realizzate al tempo ?
La mancanza dei materiali necessari per l’impianto dei mulini, va certamente esclusa. L’acqua, il primo e più importante elemento, era sicuramente abbondante nel territorio siracusano, le tecniche di canalizzazione erano conosciute e ampiamente praticate, infine la documentata presenza di numerose cave di pietra, così come l’abbondanza di legnami, consentono di escludere la mancanza di nessuno degli elementi necessari all’impianto dei primi mulini ad acqua. Anche la mancanza del “know how”, necessario alla progettazione e alla realizzazione dei mulini sembra si possa escludere. Gli scambi commerciali e tecnologici tra Siracusa e la madrepatria greca, erano talmente frequenti da potersi escludere qualunque forma di “ritardo culturale” delle genti greche di Sicilia.
L’unica risposta plausibile, resta così la volontarietà dell’evento. L’abbondante utilizzo del lavoro manuale servile e la notevole differenza, per lunghi secoli riscontrata, tra produzione e consumo locale dei cereali fecero si che in Sicilia il mulino ad acqua si diffondesse solo in epoca araba.
Ma come funzionavano i mulini idraulici ? In un punto del corso d’acqua, posto necessariamente a monte dell’impianto, veniva creata una deviazione “prisa” che permetteva all’acqua di essere convogliata in un canale “saja” che tendeva, lungo il suo percorso, a divergere sempre più dal corso d’acqua.
L’acqua così incanalata, dopo aver percorso anche diverse centinaia di metri, andava a finire in una piccola vasca di raccolta “uttigghiuni” da cui aveva origine il cosiddetto “salto”, il punto più importante per una efficace molitura, dato che più in alto era posizionato “u uttigghiuni” rispetto al mulino, maggiore forza e pressione veniva impressa all’acqua. Dopo il salto, l’acqua veniva forzatamente convogliata mediante una piccola condotta, in una sorta di vasca avente forma tronco conica rovesciata, posta all’esterno del mulino.
Alla base di questa era posizionato un riduttore intercambiabile detto “piancia” che veniva regolato in relazione alla quantità di acqua disponibile nei vari mesi dell’anno, attraverso la “piancia” l’acqua si infrangeva sulle pale dette “pinne” di una ruota, che girando azionava la macina.
Quasi tutti i mulini erano dotati di due palmenti uno atto alla lavorazione del frumento l’altro destinato alla macinazione dell’orzo e dei cereali minori. La macina aveva una circonferenza di circa 5/6 mt ed era composta da spicchi di pietra tenuti insieme da gesso e da pesanti cerchi di ferro.
Le macine atte alla lavorazione del frumento erano di pietra bianca, proveniente solitamente dal territorio ragusano, le macine utilizzate per l’orzo, più piccole delle prime, erano invece di pietra lavica e perciò dette “catanisi”. Al centro della macina superiore che era fissa, si incastrava un ulteriore monoblocco circolare in pietra, “coddu”, che attraverso un buco riceveva, mediante una tramoggia di legno regolabile, la giusta quantità di cerali. Un congegno detto “piede”, permetteva alla macina superiore di essere sollevata di pochi millimetri, in modo da regolare il grado di macinazione.