"Il patrimonio culturale, modelli di gestione e finanza pubblica"

E’ stato presentato ieri a Roma in occasione del convegno “Quale gestione del patrimonio culturale”, svoltosi presso l’Accademia di belle arti, il volume di Antonio Leo Tarasco, alto dirigente del Mibact e professore di diritto amministrativo, “Il patrimonio culturale, modelli di gestione e finanza pubblica”. L’analisi è lucida e a tratti impietosa, ma accanto alle note dolenti vi sono anche delle proposte per migliorare la gestione del patrimonio culturale.
Un capitolo del saggio è dedicato alle “Quattro cause principali della cattiva gestione del patrimonio culturale” italiano. “La contemporanea azione di quattro fattori principali – spiega l’autore – agendo simultaneamente, producono effetti negativi”.
- “Eccesso di concentrazione di beni culturali nel territorio italiano”.
- “Eccesso di pubblicazione della gestione di quei beni culturali”.
- “Esiguità delle risorse economiche a disposizione”.
- “L’orientamento culturale incentrato sulla considerazione che del patrimonio culturale come ineludibile fonte di spesa e non (anche) come fonte di entrata”.
“Nel 2015 rispetto a 155 milioni di visitatori di musei e parchi archeologici – scrive Tarasco – il 10 per cento di questi (15 milioni), si è concentrato in soli 7 siti dei 508 siti statali culturali censiti nel 2015. Nel 2016, nei 529 siti censiti, oltre la metà degli introiti costituisce il prodotto delle visite in soli tre siti (Uffizi, Pompei e Colosseo)”. Nel 2016 sono stati censiti 529 monumenti e parchi archeologici. Di questi siti, 69 sono chiusi al pubblico. Dei 529 siti ministeriali, 38 hanno registrato nel 2016 zero visitatori pur essendo aperti, cui si aggiungono altri 43 che si collocano nella fascia di 0-999 visitatori, 97 che hanno avuto tra 1000-4999 visitatori (dai 3 ai 6 visitatori giornalieri in media), e 73 siti che hanno avuto tra i 15 e i 30 visitatori medi giornalieri. Su 529 siti ministeriali, ben 251 hanno registrato un numero di visitatori basso o nullo.
Ma il punto dolente è: quanto si ricava dal patrimonio? Tarasco: “Sul fronte delle entrate deve purtroppo notarsi – a parte la sproporzione tra valore della consistenza patrimoniale e ricavi generati dal patrimonio – che questi ultimi sono incentrati sugli introiti di biglietteria. In pratica la principale fonte delle entrate derivante dalla gestione del patrimonio culturale è determinata essenzialmente dalla vendita di biglietti”. “Il deludente risultato – aggiunge il professore Tarasco – è il risultato della combinazione fra tradizionale irresponsabilità nella gestione delle risorse pubbliche, e mancanza di consapevolezza del valore economico dei beni in consegna”. Un esempio: “Pompei e Ercolano hanno ricavato dalla vendita di biglietti 27,5 milioni, ma ha generato ricavi diversi, cioè per concessioni d’uso, e servizi aggiuntivi pari a soli un milione”.
Trascurate altre fonti di finanziamento. “Totalmente dipendente dalla biglietteria – aggiunge – il polo museale del Lazio: il ricavo dai visitatori dei musei laziali è di circa 9 milioni, cioè il 43 per cento del totale di tutti i biglietti venduti in tutti i poli museali regionali del Mibact. Ma nel 2016 per le concessioni d’uso ha incassato solo 2500 euro, mentre il complesso dei ricavi diversi dalla biglietteria è stato di appena 65 mila euro”. Ma altre fonti di finanziamento, come le sponsorizzazioni private, si sono rivelate un flop. “Se si eccettua l’operazione Colosseo (25 milioni, effettivamente versati sei….), dal 2012 al 2015 l’Amministrazione ha ricavato da contratti di sponsor su tutto il territorio nazionale solo 828 mila euro (come confermato anche dall’indagine della Corte dei conti del 2015)”. “Le fonti di finanziamento del sistema del patrimonio culturale appaiono sclerotizzate sul dominante finanziamento pubblico mentre i ricavi generati autonomamente dalla gestione del patrimonio culturale così finanziato è schiacciato sui soli introiti da biglietteria che coprono mediamente il 90 per cento delle entrate”.
Altro punto controverso quello dei visitatori gratis, che evoca il dibattito sulla fruibilità del patrimonio artistico. “Gli introiti – dice Tarasco – potrebbero aumentare se si facessero pagare tutti i visitatori. Alla determinazione degli introiti totali di 139 milioni di euro nel 2016 hanno concorso 22 milioni e mezzo di visitatori. Ma quelli non paganti sono stati di pari numero, 22 milioni. A parte esenzioni di legge, vi sono siti ingiustificabilmente ad accesso gratuito che totalizzano milioni di visitatori all’anno. Si pensi al Pantheon visitato da 7,3 milioni di turisti e al Parco del museo di Capodimonte di Napoli gratuitamente visitato da un milione di persone”.
L’autore, dopo aver evidenziato le criticità del sistema gestione patrimonio pubblico, fa l’elenco degli strumenti di cui l’amministrazione dispone per poter incassare finanziamenti. Dai canoni di concessione d’uso ai corrispettivi per riproduzioni di immagini (compresi i marchi commerciali che utilizzino elementi del patrimonio culturale). Dalla commercializzazione di prodotti derivati dai beni culturali al valore da assegnare a offerte di sponsorizzazioni ai procedimenti amministrativi che prevedano una remunerazione per l’Amministrazione (sul modello della tassa per il rilascio del passaporto o della carta d’identità). “Le concessioni d’uso dei beni culturali che vanno in mostra in Italia o all’estero per mostre – osserva il dirigente Mibact – fino ad ora hanno fatto guadagnare unicamente alle società organizzatrici”. “C’è bisogno – commenta Tarasco – di sviluppare una sensibilità per i temi economici legati alla gestione: si potrebbero ad esempio registrare molti marchi commerciali aventi ad oggetto proprio beni culturali-simbolo del nostro patrimonio; valutare le ipotesi in cui conviene economicamente affidare la concessione a terzi di molti siti che, pur possedendo una straordinaria ricchezza, risultano di scarsa remuneratività. Insomma, il governo del patrimonio culturale potrà migliorare solo se si punterà ad un tendenziale equilibrio tra entrate e spese”.