Il maniero fortificato di San Michele

Lungo la costa siracusana, dal luogo di Santa Teresa Longarini fino alle località di Fontane Bianche e Cassibile, si estende il grande territorio della contrada Longarini.
La località sembra derivi il suo toponimo da un composto di vocaboli greci Longones ed arabi Ra’àvah, indicanti una “Stalla in terra d’Ognina”. Narra Plutarco come in questa soleggiata terra, al tempo chiamata Gerate, trovò rifugio Dionigi il minore scacciato dal trono di Siracusa da Dione, intorno al IV secolo a.C. Il territorio di Longarini, costituito in feudo in età normanna, fu annoverato nel ruolo del 1335, come proprietà del messinese Anzalono de Anzalone, da questi passò poi, per via maritale, ai Giordano ed agli Arduino. Longarini, ricondotto al demanio, fu venduto da re Alfonso a tale Pietro Porco, nel 1477 il feudo passò poi ai Bonanno ed ai Platamone che lo tennero in loro potere dal 1664 fino alla fine della feudalità. All’interno del feudo di Longarini, nei primi decenni del Seicento, fu iniziata la costruzione di un’abitazione fortficata tale da poter resistere alle frequenti incursioni barbaresche, che razziavano oltreché merci e derrate anche individui da rivendere poi come schiavi al mercato di Tunisi.
Agli inizi del Settecento, le terre e la villa di San Michele appartenevano agli Arezzo della Targia che nel 1718 li vendettero a Paolo La Ferla. Nel 1798, come dotale di nozze, passò ai De Leva che non riuscirono però a ricavarne i frutti sperati. Questi, dopo aver ottenuto il consenso regio, si decisero, nel 1818, a concedere San Michele in censo perpetuo al sacerdote Salvatore Grande di Avola, che si accollò oltreché l’onere del canone anche il peso delle numerose soggiogazioni di cui era gravato il luogo. L’azienda fu cosi accatastata: “Tredice salme di terra, casina abbandonata, case di masseria, case di palmenti, giardino con senia, chiesa, pennata, gebbia e stalla, confinante con le proprietà dei signori: Bucceri, Impellizzeri e Bonanno”.
I Grande apportarono a San Michele numerose migliorie, specie nei primi decenni del Novecento quando l’omonima azienda agricola assunse posizioni di primissimo piano nel panorama agricolo siciliano. Furono modificate e razionalizzate soprattutto le strutture produttive, un grande arco d’accesso e una serie di ampi magazzini e abitazioni contadine trasformarono lo spiazzo antistante l’antica fortezza, in una tipica corte quadrangolare. Quasi inalterato restò invece l’aspetto della villa, le cui caratteristiche difensive sono ancora oggi evidenziate dall’ampio fossato che cinge l’intero perimetro dell’edificio, da numerose feritoie e dall’accessibilità al tetto, che consentiva di controllare visivamente, oltreché l’intero circondario, anche un buon tratto di costa.
Gli interni del piano basso della fortezza furono sicuramente rimaneggiati dai Grande, ma non gli ambienti posti a livello del fossato tra cui appare molto caratteristico un piccolissimo bugigattolo utilizzato come gabinetto dotato di due servizi frontapposti.
Adiacente la villa una graziosa chiesetta, di cui non si conosce la data di costruzione, ma che ricalca modelli architettonici tardo settecenteschi, ospita le spoglie mortali di tre componenti della famiglia Grande, l’ultimo dei quali vi fu tumulato intorno al 1960.
San Michele va infine ricordato per essere stato il luogo in cui, il 3 Settembre 1943, fu firmato l’armistizio che mise fine alla guerra tra Italia ed Alleati. Ancora oggi, una produttiva azienda agricola e un piccolo allevamento di bovini fanno di San Michele un luogo “vivo” e ben curato, la presenza assidua e competente dei proprietari, fa ben sperare nel mantenimento e nella valorizzazione delle antiche strutture del fondo.
Tratto da: Massae, massari e masserie siracusane
di Marco Monterosso
Editore Morrone, 1999