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Palazzolo: Villa Messina a Bibìa

Palazzolo: Villa Messina a Bibìa

Nella parte settentrionale del territorio siracusano, delimitata dalle terre delle città di Palazzolo, Sortino e San Paolo Solarino e della abbazia di Santa Maria dell’Arco, si estendeva l’enorme baronia di Bibino Magno. In antico, insieme alle terre di Palazzolo, il feudo era di proprietà del catalano Ponzio di Entensa, la condizione imposta ai possessori del feudo di soggiornare in Sicilia ne determinò però la vendita, nel 1399, in favore di tale Giacomo Campolo. Dai Campolo la baronia passò in potere di Giovanni Alagona, che se ne investi l’1 Maggio 1453. Con i signori di Palazzolo le “giambre” (boschi) di Bibino divennero luogo prediletto per l’esercizio della caccia al daino ed al cinghiale. L’ormai classica opera di Alessandro Italia “La Sicilia feudale”, narra come proprio durante una battuta di caccia a Bibino nel Novembre 1489, il barone di Palazzolo Andrea Alagona uccise il giovane conte di Buscemi, Giovanni Ventimiglia. Il motivo del contendere era un cinghiale che, scovato e ferito dal Ventimiglia nelle sue terre, cercando scampo, era andato a finire nelle terre degli Alagona.

Curiosamente l’Italia riporta pure le parole che i due contendenti si scambiarono prima di venire alle armi: “Messer lo conte, vostra signoria have diritto allo cinghiale, ma io solo posso ucciderlo nella terra delli Alagona et vi proibisco di entrarci” il conte di Buscemi per nulla intimorito rispose: “Messer lo barone, vostra signoria non pratica usanza di cavalleria, la fiera est mia, perché stanata e ferita da me, proviene dalla giambra dello barone di Cassaro et io posso inseguirla ovunque”. Sembra che alle parole il Ventimiglia fece seguire non solo il suo ingresso nelle terre di Bibino ma anche una scudisciata sul volto del feudatario di Palazzolo, il quale “reagendo all’offesa” lo pugnalò. Nonostante l’indubbio potere dei Ventimiglia, Andrea Alagona, chiamato a rispondere dell’omicidio davanti alla corte dei pari del regno, fu mandato assolto.

Nel 1596 nel nome maritale di Eleonora Alagona si investi del feudo Bibia, Giuliano Abela. Da allora Bibia, che era il più grande dei numerosi feudi (o marcati) che componevano la baronia di Bibino Magno, restò saldamente in potere degli Abela per oltre tre secoli. L’abolizione del regime feudale e di tutti quegli istituti che avevano consentito il mantenimento unitario dei feudi, determinò dalla seconda metà dell’Ottocento, l’immissione sul mercato di gran parte delle terre appartenute alla vecchia aristocrazia siciliana. Gli appartenenti ai ceti borghesi: notai, medici, sacerdoti, ma, soprattutto, grossi gabelloti degli stessi ex feudi, fecero cosi incetta di tali terre, stimolati soprattutto dal possibile raggiungimento di uno status sociale più elevato. Le terre di Bibia, furono acquistate dalla palazzolese famiglia Messina che edificò un’innumerevole quantità di masserie e manieri residenziali sui loro enormi possedimenti.

bibia 1

I Messina, che si fregiavano del titolo di baroni di Bibia, edificarono a pochi chilometri da Palazzolo una superba villa in stile neogotico. Alla villa, costruita sulla sommità della cava attraversata dal torrente Bibinello, si accede attraverso una lunga e rettilinea trazzera che si innesta lungo la strada statale 124 che da Palazzolo conduce a Solarino. La costruzione, avviata intorno al 1880, ricalca, seppur nello sfarzoso gusto dei committenti, i caratteri fortificati presenti in numerose altre dimore iblee del tempo. La villa composta da numerosi vani riuniti attorno ad una corte quadrangolare è protetta da un solido corpo di guardia sopraelevato, posto sulla sommità dell’arco d’ingresso principale. L’edificio, anche per essere stabilmente abitato, appare ben tenuto e accuratamente manutenzionato. Una visita alla villa di Bibia oltre che per i fini lineamenti architettonici colpisce però per l’autentica esplosione di colori che ne scaturisce. Il caratteristico colore rosso porpora delle mura, alternandosi al bianco dei conci di pietra iblea e ai vivaci colori delle numerose piante coltivate, determina un colpo d’occhio cromatico molto suggestivo.

Tratto da:
MASSAE, MASSARI E MASSERIE SIRACUSANE
di Marco Monterosso
Editore Morrone, Siracusa, 1999

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