Abstract: Tre diverse concezioni del patrimonio culturale (V.Baldacci). 3-“La valenza mercantile”

Estratto della terza parte del saggio di Valentino Baldacci del 2014, “Tre diverse concezioni di Patrimonio culturale”, 3- LA VALENZA MERCANTILE
1-La terza concezione si riferisce al valore economico del bene culturale, insistendo proprio su quell’aspetto sottinteso nel sostantivo «bene» o «patrimonio», indipendentemente dall’aggettivo.
2-Questa dimensione economica può essere presa in considerazione secondo varie modalità. La prima, e la più ovvia, si riferisce proprio al valore monetario, di mercato, del bene preso in considerazione. Le cronache sono piene di casi di opere d’arte (ma talvolta anche di strumenti musicali rari, oppure di libri altrettanto rari) venduti all’asta per cifre altissime. Questi episodi inducono nell’opinione pubblica l’idea che ci sia un legame tra il valore monetario e quello artistico dell’opera, laddove è evidente che il primo è soggetto alle norme che regolano lo scambio delle merci sul mercato (rarità, utilità, ma anche gusto, moda ecc.), mentre il secondo segue regole sue proprie, anch’esse soggette a variazioni ma secondo parametri propri.
3-C’è da rilevare che grandi variazioni sono intervenute nel mercato dei beni culturali a partire dagli inizi del XX secolo. In precedenza, in un’epoca dominata dall’ideologia liberista, le opere d’arte, i reperti archeologici, ecc., venivano comprati e venduti in quasi totale libertà: erano considerati beni più o meno come gli altri, e solo in determinati e rari casi (monumenti nazionali) la loro vendita era soggetta a restrizioni. A partire dall’inizio del XX secolo si diffuse l’idea che il patrimonio culturale era fortemente connesso all’idea di identità nazionale, e che quindi occorreva regolarne lo scambio economico, in particolare era necessario restringerne l’esportazione all’estero. Nacquero così in Italia, ma anche negli altri paesi, normative vincolistiche: la prima per il nostro paese, è la Legge no 185 del 12 giugno 1902 (Legge Nasi) che pose un freno, anche se non assoluto, all’esportazione delle opere d’arte.
4-La legislazione vincolistica si è andata progressivamente inasprendo, anche se non è mai stato posto un divieto assoluto alla commerciabilità dei vari tipi di beni, specialmente verso l’estero. L’istituto della notifica, introdotto nel 1909, ha comunque posto sotto controllo il commercio delle opere considerate di interesse artistico e storico. Questi vincoli hanno fatto sì che per determinate tipologie di patrimonio culturale (in particolare per le architetture) la dichiarazione di interesse culturale finisse per abbassare notevolmente il suo valore di mercato.
5-Ma quello del valore del singolo bene è solo un aspetto della dimensione economica del patrimonio culturale, e nemmeno il più importante. Maggiore rilevanza hanno tutte quelle attività che sono in qualche modo connesse al patrimonio culturale e che si è soliti indicare con il termine di indotto. La più visibile di queste attività è certamente il turismo culturale, che è venuto assumendo negli ultimi decenni proporzioni gigantesche. All’antica pratica del grand tour, riservata ai giovani delle famiglie aristocratiche e improntata a motivi di studio e di educazione, si è sostituito un gigantesco intreccio di spostamenti e di viaggi che coprono tutto il pianeta. Le tipologie del turismo culturale sono numerose e in continua evoluzione. La più tradizionale è quella riferita alle città d’arte, i centri che in Europa, e in particolare in Italia, raccolgono i monumenti più noti e i musei più famosi. Ma negli ultimi anni si è sviluppato un turismo culturale che si indirizza in due direzioni opposte: da un lato c’è stata la progressiva scoperta del patrimonio culturale «minore», rappresentato da borghi, cittadine, castelli, conventi e monasteri isolati, in precedenza appena sfiorati dal turismo culturale. In questa tipologia di turismo un ruolo fondamentale è svolto dal paesaggio, che sempre più è oggetto di particolare attenzione da parte di turisti il cui obiettivo è la ricerca di un ambiente diverso da quello standardizzato delle città di residenza. Al polo opposto si colloca la crescente scoperta di aree e località esotiche, poste in paesi anche lontanissimi da quello di residenza. È appena il caso di sottolineare quali e quanti settori economici sono messi in movimento dalle tipologie di turismo culturale sopra indicate. Si va dai trasporti (aerei, ferroviari, marittimi, automobilistici) a tutta la rete dell’accoglienza e dell’ospitalità, dagli alberghi ai ristoranti, dai bar agli agriturismo. Oltre alle attività specializzate, come quelle delle agenzie di viaggio e a quelle delle guide, è poi tutta la rete commerciale delle città e delle zone interessate che viene coinvolta, in quanto il turismo esprime una domanda aggiuntiva rispetto a quella abituale dei residenti; anzi è ben noto che esiste una maggiore propensione al consumo quando si è fuori della propria area abituale di residenza.
6-A parte va considerata l’attività di quelle strutture che, per loro natura, sono direttamente connesse al patrimonio culturale: i musei innanzi tutto, e poi l’organizzazione delle mostre. Musei e mostre vanno considerate da un lato come occasioni aggiuntive di richiamo rispetto a quello offerte dai monumenti e dal paesaggio, dall’altro come strutture autonome che sviluppano una loro attività che ha una notevole rilevanza economica.
7-Un museo va considerato, oltre che come luogo di conservazione e di esposizione di collezioni e centro di attività culturale, come soggetto di una molteplicità di attività economiche che lo rendono per certi aspetti simile a un’azienda commerciale, con i suoi costi e ricavi, le sue problematiche manageriali, ecc. Se i costi di un museo sono identificabili in quelli che normalmente figurano in un’attività commerciale (personale, energia, ecc.), a questi vanno aggiunti quelli che mirano alla conservazione e al restauro delle opere. I ricavi sono di molteplice natura: prima di tutto la bigliettazione, che può assumere le forme più raffinate e complesse; poi l’associazione al museo (membership) che tende alla fidelizzazione del visitatore; inoltre l’affitto degli strumenti di informazione, laddove non siano gratuiti (audioguide, ecc.). Una voce rilevante è costituita dallo store (o bookshop, come viene impropriamente chiamato in Italia), che nei grandi musei raggiunge non solo notevole dimensioni ma anche livelli di qualità assai elevati. Ci sono poi ricavi derivanti dalle vere e proprie attività culturali: visite guidate, conferenze, lezioni, concerti, cicli di film, attività teatrali. In alcuni casi i musei si fanno promotori e organizzatori di viaggi all’estero verso località considerate di particolare attrattività culturale. Un’altra fonte di introito è costituita dai ristoranti e caffetterie interni al museo, sia in forma di gestione diretta che di diritti di concessione. Sempre più spesso gli spazi dei musei vengono offerti a pagamento per occasioni di vario genere, dalle cene aziendali alle sfilate di moda. Un’altra voce significativa delle entrate è costituita dalle donazioni e dalle offerte volontarie, che spesso sono organizzate e sollecitate in forma assai elaborata. Infine, soprattutto nei musei europei, è fondamentale l’apporto costituito dai contributi provenienti dagli enti pubblici, siano essi lo Stato, le Regioni o gli enti locali. Al di là del dibattito sulla possibilità che un museo possa essere gestito in pareggio per mezzo delle sole risorse proprie, resta il fatto che la gestione di un museo, oltre a una dimensione culturale, ne presenta una strettamente manageriale.
8-Per le mostre, valgono in larga misura riflessioni simili, con alcuni aspetti, relativi ai costi e ai ricavi, analoghi ed altri specifici. Per i costi, ovviamente una voce di particolare rilievo è costituita dai trasporti, dalle assicurazioni e dall’allestimento temporaneo, nonché dalle spese per promozione e pubblicità. Per i ricavi sono meno rilevanti quelli derivanti da un’attività permanente e continuativa come quella di un museo, ma a compensare questi minori introiti stanno quelli derivanti dall’aspetto di eccezionalità che ogni mostra, quale più quale meno, assume; e quindi maggiore affluenza di visitatori, maggiore numero di biglietti venduti, maggiore vendita di tutta la produzione accessoria, come i cataloghi, i poster, l’oggettistica e in generale il merchandising, maggiore occasione di entrate derivanti da sponsorizzazioni.
9-Se il turismo culturale e la gestione dei musei e delle mostre sono gli aspetti più visibili della dimensione economica del patrimonio culturale, non si devono dimenticare altre attività che, pur meno evidenti, tuttavia hanno anch’esse ricadute economiche non trascurabili. Una dimensione economica l’ha la stessa attività di catalogazione del patrimonio culturale, svolta in Italia dalle Soprintendenze ma che coinvolge anche soggetti esterni ad esse, come, ad esempio, gli esperti in elaborazione di programmi informatici e anche gli stessi compilatori di schede. Un’attività che in alcune realtà ha assunto un rilevante significato economico è quella del restauro. Il restauro, sia pittorico e plastico che architettonico, ha da tempo superato lo stadio artigianale nel quale era prevalente l’abilità manuale del restauratore nonché ovviamente la sua preparazione storico-artistica, per utilizzare tecniche informatiche di elevato contenuto tecnologico. Ci riferiamo non solo all’esecuzione del restauro ma anche e soprattutto alle analisi diagnostiche che precedono il restauro stesso e che ormai coinvolgono competenze di altissimo livello.
Parte 3 di 4
Riferimento cartaceo
Valentino BALDACCI, « Tre diverse concezioni del patrimonio culturale », Cahiers d’études italiennes, 18 | 2014, 47-59.
Riferimento elettronico
Valentini BALDACCI, « Tre diverse concezioni del patrimonio culturale », Cahiers d’études italiennes [Online], 18 | 2014, Messo online il 30 septembre 2015, consultato il 03 juin 2020. URL : http://journals.openedition.org/cei/1518 ; DOI : https://doi.org/10.4000/cei.1518