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Un analisi (finalmente lucida) sul Parco nazionale degli Iblei

Un analisi (finalmente lucida) sul Parco nazionale degli Iblei

Tra il 2019 e il 2020 si è, come è noto, rianimato il dibattito sull’istituzione del Parco nazionale degli Iblei, previsto da una legge del lontano 2007. Abbiamo assistito ad un surreale dibattitto pressochè tutto incentrato, sia da parte dei sostenitori del SI, che da quelli del NO, sul tema delle potenzialità economiche che il parco può offrire in termini di sviluppo. Cosi tutti a parlare dei mirabolanti vantaggi economici che l’istituzione del parco potrebbe favorire o, dall’altra parte, dei lacci e lacciuoli burocratici che impedirebbero di fatto lo svolgimento di qualunque attività economica. Quasi completamente assente dal dibattito invece la principale ragion d’essere dell’istituzione di un area protetta, cioè la TUTELA. Se il fine di un area protetta (sia essa una riserva, un’area della rete “Natura 2000” o un parco) è la conservazione vogliamo, per una volta, volgere lo sguardo al cuore del problema ? Vogliamo laicamente analizzare le modalità di tutela di un area che, almeno come inizialmente ipotizzato dall’Assessorato territorio e ambiente dalla Regione Siciliana, si sviluppa all’interno di un area di ben 160 mila ettari ? Vogliamo parlare dell’opportunità di sottoporre a vincoli protezionistici una estesa porzione di territorio naturalisticamente non omogenea ? Vogliamo affrontare il tema del rischio legato al superamento dell’esperienza delle riserve naturali che il parco imporrebbe ? Vogliamo analizzare e studiare, anche al fine di migliorarle, le aree protette siciliane in termini di tutela, gestione, incidenza sul territorio, potenzialità e deficit ? Su questo punto lo scorso anno abbiamo pubblicato un breve studio sulle riserve siciliane e un approfondimento su quelle siracusane e il panorama non sembra poi cosi sconfortante, anzi tutt’altro !

Alcune di queste domande sono finalmente affrontate, in un recente intervento pubblicato sul quotidiano La Sicilia, da due tra i più noti ambientalisti siciliani: Giuseppe Ansaldi e Carmelo Iapichino. La loro analisi, anche per altri spunti molto interessanti, merita certamente di essere riportata integralmente.

Parco nazionale Iblei non è la panacea di tutti i problemi

Tratto da La Sicilia del 08/09/2020

 

Chi scrive e stato per anni in prima fila nelle lotte per l’istituzione di aree protette nel siracusano, sin dalla emanazione della legge regionale istitutiva del parchi e riserve del 1981 e proprio in coerenza con il lavoro svolto non possiamo non manifestare le nostre perplessità circa le vicende che dovrebbero portare alla istituzione del parco nazionale degli Iblei, i dubbi sul quale non possono essere facilmente liquidati come espressione di interessi di parte o speculativi. Queste considerazioni non significano, da parte nostra, una contrarietà alla istituzione del parco, ma vogliono ricordare agli attori di questa complessa vicenda che il Parco non può essere considerato la panacea di tutti i problemi di conservazione dell’area iblea, ad una opposizione aprioristica, non può contrapporsi una accettazione altrettanto acritica o affascinata dall’idea dei benefici economici del parco, tutt’altro che scontati e da costruirsi nel tempo.
Il nostro timore è che strumenti vincolistici e di tutela non adeguati alla realtà geografica e sociale dei luoghi possano rivelarsi, come spesso accaduto in altre realtà, addirittura controproducenti per la conservazione del nostro patrimonio naturale.
Partiamo dal presupposto che il paesaggio ibleo debba essere tutelato e che il Parco nazionale è uno strumento vincolistico eccezionale che si giustifica in aree di assoluto valore naturalistico e particolare omogeneita territoriale dove siano possibili zonizzazioni chiare, una situazione che, in Sicilia troviamo semplificata probabilmente solo sull’Etna.
Esaminiamo sinteticamente la situazione di tutela dell’area iblea:
esistono ad oggi 11 riserve naturali per un totale di oltre 16.000 ettari, 18 aree SIC per un totale di ulteriori 22.000 ettari (non considerando la superficie già inclusa nelle riserve) e per le quali sono in corso di redazione i piani di gestione, un totale di oltre 38.000 ettari che costituisce un nucleo non indifferente suscettibile di miglioramenti per esempio con il secondo piano regionale delle riserve in fase di definizione all’Arta si dovranno istituire nuove riserve naturali in buona parte delle aree Sic non attualmente protette come tali.
In pratica la tutela delle emergenze naturalistiche iblee è già realtà o può diventarlo con strumenti già definiti e di ridotto impatto sociale.
La istituzione di un parco (regionale o nazionale) comporterebbe la decadenza delle riserve naturali ad oggi esistenti (e quindi la cessazione di alcuni buoni esempi di gestione naturalistica in Sicilia, vedi Pantalica, Cava Grande, Bosco di Santo Pietro) e fermerebbe l’iter istitutivo di nuove riserve rimettendo di fatto in discussione realtà vincolistiche già consolidate ed accettate.
Non nascondiamoci che tra i fautori di questo come di altri parchi (vedi Sicani) c’è chi apertamente afferma di vedere il parco come uno strumento per togliere potere” alla ex Forestale, ente gestore delle riserve citate, per ridarlo ad organismi diretta emanazione di amministrazioni locali e quindi, più facilmente controllati da interessi politici localistici.
Proprio la lunga vicenda del Parco dei Sicani ha avuto ad oggi, come unico risultato, la cancellazione di quattro preesistenti riserve naturali ben gestite. Ricordiamo che regolamenti e zonizzazioni definitive di un parco sono il risultato di un lunghissimo iter istitutivo dove esperienza insegna, entrano facilmente in gioco logiche politiche e campanilistiche che portano spesso a risultati lontanissimi da quelli auspicati dai promotori.
Non possiamo ignorare che la creazione di un ente parco (tra l’altro con le caratteristiche piuttosto centralizzate di un ente parco nazionale, e per di più esperienza nuova in una regione a forte autonomia come la nostra) sarà verosimilmente fonte di contrasti e contenziosi infiniti, specialmente in un territorio dove la attività economiche e le densità di popolazione sono diffuse e non chiaramente regolamentabili con zonizzazioni chiare, proiettando tensioni sociali sull’idea stessa di conservazione. Pensiamo ad esempio alla attività di forestazione che ha oggi in molte realtà iblee un ruolo economico centrale, nelle sole province di Ragusa e Siracusa la superficie forestale è di circa 20.000 ettari.
Ci sembra poco utile il confronto col nuovo Parco nazionale di Pantelleria che ha praticamente sostituito la preesistente riserva naturale regionale e nei cui organi e presente un solo comune contro i 21 del futuro parco ibleo. 5 Parchi Regionali, oltre 70 Riserve Naturali, 6 Aree Marine Protette, circa 200 tra Siti di Importanza Comunitaria e Zone di Protezione Speciale, in 35 anni la Sicilia ha costruito un patrimonio di Aree Protette che tutela circa il 13% del territorio regionale, in questi ultimi anni questo sistema di Aree protette, che costituisce l’unica e più efficace tutela della conservazione della natura e di promozione sostenibile del territorio, ha però subito un forte deficit di governance ambientale e di ingiustificata disattenzione.
Purtroppo non abbiamo visto negli ultimi anni impegno e attenzione sufficienti in questa direzione ne da parte delle forze politiche, né da movimenti e associazioni per rilanciare e potenziare quelle strategie di politica ambientale in grado di svolgere quell’importante e insostituibile funzione propositiva finalizzata alla crescita sociale ed economica e di rinnovata sensibilità di tutela e salvaguardia del territorio siciliano.
Il rilancio dell’esistente sistema di aree protette e sostituibile dalla creazione di nuove strutture amministrative?

 

GIUSEPPE ANSALDI Geologo, già responsabile di Legambiente
CARMELO IAPICHINO Ornitologo, già componente del CRPAN (Comitato Regionale Protezione Patrimonio Naturalistico)

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