Una passeggiata… alla scoperta di una misteriosa abbazia

Il fiume Manghisi nasce a pochi chilometri da Palazzolo Acreide da sorgenti presenti nell’ex feudo Bauli per sfociare a mare, dopo un percorso di circa 30 km, tra Cassibile ed Avola. Lungo il suo corso il fiume è alimentato da tre affluenti, da Nord a Sud:
– Cava Manghisi
– Cava Mazzone-Celso-S. Marco-Putrisino
– Cava Testa dell’acqua-Buongiorno
Oltre all’area della riserva naturale di Cava Grande del Cassibile anche la porzione del bacino idrografico del Manghisi corrispondente ai suoi affluenti, riveste una particolare rilevanza e non solo dal punto di vista naturalistico ma anche da quello culturale.
A monte di Cava Manghisi in contrada Arco è attestata la presenza di un omonima abbazia cistercense la cui realizzazione risale al 1212 ad opera dell’allora signore di Noto, Isimbardo di Morengia, “…S. Marie de Arco fundatum est, in territorio Neti, aliud locum, quod vocatur Bulfita, seu Bulphal…”.
L’atto di fondazione pervenutoci (Rocco Pirri, Sicilia sacra disquisitionibus et notitiis illustrata, a cura di Antonio Mongitore e Vito Maria Amico, vol. 2, Palermo, 1733) mostra la magnanimità del fondatore che dotò l’abbazia di ben quattro feudi: Arco, Gaetanì, Piana e Pianette. Il possesso del casale “Bulchalem”, sito in prossimità del mare, garantiva probabilmente all’abbazia l’approvvigionamento del sale necessario per la produzione alimentare proveniente dalla pastorizia e d’allevamento, quest’ultimo presente lungo il feudo Canseria, dove si praticava soprattutto l’allevamento di maiali. Oltre ai beni dotali il fondatore autorizzava l’abbazia ad utilizzare i boschi del circondario, la coltivazione della vite, l’allevamento degli ovini con la diretta produzione della lana, l’uso di alcuni mulini, come quello sito presso contrada Munghisi e metà di un Battinderi (impianto idraulico per la follatura della lana) concedeva inoltre l’uso esclusivo del corso d’acqua “…piscaturam in flumine, cum omnibus juribus et rationibus suis spectantibus ad ispum…”.
Il monastero, il cui abate sedeva nel braccio ecclesiastico del Parlamento siciliano, (clicca QUI) già dal XV secolo fu assegnato in Commenda ad ecclesiastici di rango. L’antica abbazia, ritenuta “insalubre”, nel 1608 fu trasferita all’interno della città di Noto. Nel 1693, dopo che il terremoto rase al suolo la città, un ulteriore complesso monastico fu edificato nel nuovo sito scelto per la rifondazione di Noto.

Per raggiungere i luoghi su cui sorse l’abbazia di S. Maria dell’Arco abbiamo iniziato la nostra passeggiata dal km 5,8 della SP 80 (Aguglia-Bancazzo-San Marco-Testa dell’Acqua) da qui si innesta una strada interpoderale asfaltata che bisogna seguire per 1,85 km. Terminata la strada asfaltata inizia, in leggera salita, una caratteristica “carrabbile” delimitata da muri a secco che occorre percorrere per ulteriori 1,45 km. Raggiunto un quadrivio bisogna procedere “off road” in direzione Nord, verso la vicina Cava Manghisi, ricca di una lussureggiante flora autoctona.

Raggiunto il fondo della cava, seguendo il corso d’acqua, dopo circa 400 mt raggiungerete una caratteristica scala intagliata nella roccia che vi porterà nei pianori di contrada Arco, dove sorgeva l’abbazia circestenze. Nei pressi di una masseria, ancora in attività, potrete imboccare il sentiero sterrato che, ridiscendendo di nuovo nel fondo della cava, vi condurrà, dopo circa 3 km, in contrada San Marco al Km 2,9 della SP 80.
Clicca sull’immagine sotto per la mappa del percorso
Bella Descrizione di un territorio denso di storia e di presenze. Mi interesserebbe sapere qualcosa di più sul casale Bulchalem , sulla presenza dei cosentini nella zona e sulla eventuale produzione di seta
Grazie innanzitutto per l’interessamento al nostro blog !
Sulla presenza di cosentini e sulla lavorazione della seta non ho purtroppo nessun elemento.
Sul casale Bulchalem (o feudo Buchalchemi secondo Marrone) si hanno solo pochissime notizie: che era posto in prossimità della marina di Noto, che confinava col feudo Belludia e che nel 1375 era in potere di Manfredi Alagona che probabilmente lo aveva usurpato.
Marco Monterosso