Alienazioni di immobili pubblici e “beni comuni”

Alienazioni di immobili pubblici e “beni comuni”

A partire dalla riforma costituzionale del 2001 il tema dei beni comuni è penetrato nel dibattito pubblico italiano ed esposto principalmente in occasione della consultazione referendaria del giugno 2011 sulla privatizzazione dell’acqua. Il lungimirante tentativo della commissione Rodotà, nel 2008, di introdurre nel nostro ordinamento la distinzione dei beni in: “beni pubblici, beni privati e beni comuni”, qualificando questi ultimi come le “cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona” e precisando che essi devono essere tutelati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico, anche a beneficio delle generazioni future, non ha avuto seguito in sede legislativa.

In termini storici il concetto fa riferimento alle terre comuni di uso collettivo delle popolazioni rurali nell’Inghilterra del XVII sec. La loro recinzione, avvenuta per mezzo delle “Enclosure bills”, fu ritenuta necessaria per l’allevamento intensivo delle pecore, la cui lana veniva utilizzata dalla nascente industria tessile. Alla scomparsa dei commons fece seguito l’offensiva ideologica contro l’uso condiviso delle terre per favorirne la trasformazione in bene strettamente commerciale.

Il punto di partenza del dibattito contemporaneo sull’argomento è costituito da un articolo di Garrett Hardin, pubblicato su Science nel 1968, dal titolo “La tragedia dei beni comuni”. L’ultima parola, secondo Hardin, spetta all’intervento dello stato, che deve imporre “la coercizione come sistema per evitare la tragedia”, una soluzione quella di Hardin statalista e contro il libero mercato, secondo cui la salvaguardia dell’interesse e del bene della collettività viene prima della tutela della libertà e dei diritti individuali, tra cui il diritto di proprietà.

L’idea che esista un’unica via nella risoluzione dei problemi posti dai beni comuni (quella statalista di Hardin) fu messa in discussione da Elinor Ostrom nel corso degli anni ’80. Con la pubblicazione di “Governing the Commons” nel 1990 viene rilevato che, tanto la gestione autoritaria-centralizzata dei beni comuni quanto la sua privatizzazione, benché utilizzabili in determinate situazioni, non costituiscono le sole soluzione né sono immuni essi stessi da problemi rilevanti. Partendo dallo studio di casi empirici (storici e contemporanei), la Ostrom ha dimostrato come le singole comunità sono riuscite a raggiungere accordi su una utilizzazione sostenibile nel tempo delle risorse comuni, tramite l’elaborazione di istituzioni deputate alla loro gestione.

In realtà è la nozione stessa di “bene comune” ad apparire molto incerta e ambigua rischiando di ampliarsi fino al punto di perdere qualsiasi capacità distintiva propria, spaziando dal piccolo (un immobile recuperato a uso sociale) all’infinitamente grande, come nel caso dei beni dichiarati patrimonio comune dell’umanità (il fondo del mare, l’Antartide, lo spazio extratmosferico etc.)

L’ambiguità di fondo racchiusa nell’identificazione di ciò che sarebbe considerabile bene comune appare fortemente presente nel dibattito pubblico, presente in molte delle nostre città, specie quando questo tende a mettere in discussione la possibile alienazione di ben determinati immobili di proprietà pubblica, che potrebbero essere destinati ad usi pubblici e/o collettivi.

In Provincia di Siracusa la vendita all’asta dei beni immobili dell’ex provincia regionale tra cui il carcere borbonico e il cine-teatro di Ortigia, l’Ostello della gioventù di Belvedere, e l’Autodromo, ha innescato tale tipo di dibattito partendo dal presupposto che quei beni debbano essere considerati come “beni comuni”.

Se i beni dell’ex provincia posti in vendita non possono di fatto essere considerati beni comuni, vista l’assenza stessa di un loro formale riconoscimento giuridico, permane l’importante questione relativa all’alienazione di beni pubblici sdemanializzati per sopperire alle disastrose esigenze di bilancio degli enti locali. Perché sempre più spesso, specie quando i beni oggetto delle alienazioni assumono i tratti identificativi di una determinata comunità, quest’ultima insorge e rivendicandone la “proprietà morale”, ne ripropone il riutilizzo per usi sociali e collettivi.

Cosi come posto il tema prettamente economico derivante dalle mancate alienazioni, ma soprattutto dai costi connessi al recupero funzionale ad uso collettivo degli immobili pubblici in questione, rimane centrale e derimente. Dal 2011 l’impatto finanziario determinato del taglio dei trasferimenti e successivamente dall’applicazione dei prelievi forzosi ha determinato di fatto una sensibile riduzione delle risorse disponibili con una esponenziale crescita del debito che al momento della dichiarazione di dissesto finanziario dell’ente siracusano (2018) ammontava a 162 milioni di Euro.

https://dait.interno.gov.it/documenti/criticita_finanziarie_enti_locali.pdf

Se la crisi economica dell’ente è dovuta essenzialmente al taglio progressivo dei trasferimenti e all’imposizione del prelievo forzoso sulla quota di competenza della RC auto e dell’Imposta Provinciale Trascrizioni (IPT) gli atti legislativi di riordino delle province (una legge nazionale e ben nove leggi regionali emanate nell’arco di soli cinque anni) hanno sostanzialmente demolito e delegittimato un ente di area vasta che, con tutte le sue criticità funzionali, cercava di garantire il governo dei servizi e degli interventi pubblici sul territorio.

Sul tema del riordino delle province la politica appare ancora letteralmente “nel pallone” cosi come evidenziato dalla stessa Corte dei Conti della Regione Siciliana, (Delib. n.125/2017/GEST.) secondo la quale la gestione commissariale perdurante da ben 7 anni: “costituisce un eloquente indice rilevatore della situazione di stallo politico-amministrativo venutasi a creare… rendendosi quanto mai necessaria la rapida conclusione degli adempimenti procedurali previsti dalla L.R. n. 15/2015, altrove conclusi da tempo e con successo, ai fini della fuoriuscita dal regime provvisorio, e dell’entrata a regime della riforma”
La soluzione, ancora secondo la Corte dei Conti regionale, non può che essere di natura politica: “La natura strutturale dei fattori di squilibrio riscontrati postula rimedi aventi la stessa natura, che, superando logiche emergenziali esitate in interventi tampone, assicurino una risposta ordinamentale tesa a garantire stabilmente la continuità istituzionale e la reale funzionalità delle amministrazioni in esame, garantendo risorse adeguate alle funzioni ed ai servizi istituzionali di pertinenza”

Il progressivo ridimensionamento dell’autorevolezza delle istituzioni e la contaminazione populista che ha interessato, più o meno, tutti i partiti politici italiani sembra di fatto impedire una soluzione “di sistema” cosi come richiesta a gran voce, anche dagli organi di giustizia contabile. Chi banalmente teorizzava che l’indebolimento del sistema politico-istituzionale avrebbe consentito di rimettere al centro i cittadini appare, specie nella situazione in oggetto, inesorabilmente smentito. Perché quei cittadini e quelle forze politiche che si esaltavano per il “risparmio” del denaro necessario al funzionamento degli organi di governo dell’ente (Presidente, Giunta e Consiglio Provinciale) non hanno fatto altro che trasferire, da organi democraticamente eletti e politicamente responsabili a dei funzionari di nomina governativa regionale, le scelte più importanti del loro territorio.

Author: Marco Monterosso

Esperto in promozione turistica e management del patrimonio culturale e ambientale... con una sfrenata passione per il territorio siciliano ! Ha scritto "qualcosa" che puoi vedere su: https://independent.academia.edu/MonterossoMarco

Marco Monterosso

Esperto in promozione turistica e management del patrimonio culturale e ambientale... con una sfrenata passione per il territorio siciliano ! Ha scritto "qualcosa" che puoi vedere su: https://independent.academia.edu/MonterossoMarco

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