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Priolo: la dimora incompiuta dei Gargallo

Priolo: la dimora incompiuta dei Gargallo

Nel territorio siracusano, chiuso tra il rilievo dei Monti Climiti e il mare, si estendeva il territorio del feudo di Priolo. Il feudo, appartenente all’immenso territorio della contea di Augusta, fu smembrato intorno alla fine del XIV secolo per essere ceduto alla famiglia De Ala. Passato di proprietà ai Bellomo, ai Busulduno, ai Vacca e poi ritornato in  potere dei conti di Augusta, Priolo fu acquistato, nel 1580, dalla famiglia Platamone.
Nel 1723 il feudo fu concesso in gabella a Giuseppe Gargallo, figlio di Francesco Maria ed Eleonora Platamone. Nel 1737 per “restituzione di dote materna” Giuseppe Gargallo ottenne, per sé e per i suoi discendenti, di investirsi del titolo di barone di Priolo. Il feudo era formato da quattro “terzerie” dette: “Calanga, Case di Carlo, Camposanto e Terzeriola”, da tre “chiuse”: “delle case, dei greci e dell’olivitello” e da due fondi detti uno “Fico” e l’altro “Casulle”. Don Giuseppe, prima ancora dell’investitura formale, contribuì sulla scia dell’operato dei suoi avi Platamone, a colonizzare le terre di Priolo.

Nel 1732 il Gargallo fece erigere una chiesetta per le esigenze della popolazione rurale, dotandola poi di una congrua annua e di una cappellania che affidò al figlio Ignazio, sacerdote. Il nipote, di nome anch’esso Giuseppe e “marchese sul cognome”, commissionò al famoso architetto netino Paolo Labisi la costruzione di una sontuosa dimora degna dell’elevato rango sociale acquisito dalla sua famiglia.

Estintosi il ramo primogeniale, con la morte del terzo barone di nome Emanuele divenne barone di Priolo Pietro Gargallo, figlio di Giuseppe e Anna Bonanno. Alla morte di questi, anch’egli senza eredi, gli successe nel 1808, Tommaso, figlio del marchese di Castel Lentini Filippo e Isabella Montalto. Poeta, scrittore, insigne traduttore, nonché ministro della guerra e della marina, Tommaso Gargallo ottenne da re Ferdinando III, di poter fondare nel 1809 lo “stato feudale” di Priolo, ottenendo la piena giurisdizione civile e criminale sui suoi borghigiani.

La fine della feudalità era però da li a venire, la costituzione siciliana del 1812, abrogando le prerogative nobiliari, trasformò i feudi in semplici proprietà private, liberando i coloni da ogni vincolo loro imposto. Nonostante lo scorrere dei secoli, la grande dimora che i Gargallo commissionarono al Labisi restò solo allo stato iniziale, i lavori interrotti già alla fine del XVIII secolo non furono mai portati a termine. Seppur buona parte degli ambienti destinati alla conduzione agricola dell’ex feudo furono realizzati, della sontuosissima facciata non fu portata a termine che una piccolissima parte.

Oggi il grande caseggiato dei feudatari di Priolo versa in evidente stato di degrado, gli ambienti interni, che si affacciano sull’ampia corte, sono utilizzati quali improvvisate scuderie. Un caro amico, appassionato storico locale, che mi accompagnò nella mia visita alla dimora patrizia, mi ha raccontato come egli avesse proposto agli inizi degli anni Ottanta, di destinare questa grande area a sede del nuovo municipio di Priolo. L’antica costruzione avrebbe potuto rappresentare un suggestivo “involucro” in cui collocare la sede del moderno potere cittadino. Passato e presente in un ideale prosecuzione temporale avrebbero potuto legare cosi Priolo alla sua suggestiva storia. La proposta fu naturalmente scartata ma costatando il degrado che circonda adesso la dimora dei Gargallo, e scorgendo l’aspetto del nuovo Palazzo di Città di Priolo, mi rendo conto che quell’idea allora solo risibile poteva essere sfruttata positivamente. Chissà, forse oggi, le ciminiere sarebbero sembrate meno vicine.

 

Tratto da: Massae, massari e masserie siracusane
di Marco Monterosso, Ed. Morrone 1999

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