Maeggio: la villa dei baroni Bonanno

Risalgono al 1408 le prime notizie del territorio siracusano di Maeggio, citato nel ruolo dei feudi con il nome Magesi. Il feudo, che deriva il suo toponimo dalla parola araba “Mahag” che significa pianura si estendeva dalla strada cosiddetta di Sant’Elia alla strada che collega Cassibile a Floridia attraverso contrada Spinagallo. Il feudo di proprietà della famiglia De Baldo passò, nel 1490, agli Scarrozza, da questi ai Tristaino nel 1670, ed ancora ai Gayangos nel 1733. Attraverso un vorticoso intreccio di vendite, lasciti e donazioni Maeggio giunse, nella seconda metà del secolo XVIII, nelle mani di Giovanbattista Bonanno. Il giovane rampollo dei principi di Linguaglossa, aveva ricevuto il feudo quale dotale di nozze per il suo matrimonio con Saveria Landolina e Rao. Il feudo di Maeggio esteso 117 salme (quasi 400 ettari), coltivato ad oliveto, vigneto, pascolo e seminativo, una volta frazionato era generalmente concesso in gabella per quattro anni. Nel 1781 don Giuseppe Bonanno, anche come segno dell’accresciuto prestigio sociale della sua famiglia, incaricò il famoso architetto Luciano Alì di progettare una sontuosa dimora a Maeggio.
L’architetto Alì, lontano dai modelli architettonici ricorrenti nelle masserie siciliane, progettò un’abitazione che, seppur solida e massiccia, era finemente decorata da capitelli e fregi. Il secondo piano della villa-castello dei signori di Maeggio, arretrato rispetto l’asse della facciata principale, creava un graziosa balconata che si affaccia ancora sull’incantevole paesaggio dell’agro siracusano. Nel retro della villa si trovavano le abitazioni dei lavoranti, grandi stalle e numerosi magazzini, ampliati o costruiti ex novo nella seconda metà dello scorso secolo. La villa-castello di Maeggio oltre ad essere uno dei centri propulsivi dell’economia familiare dei Bonanno era un ameno luogo dove trascorrere i caldi mesi estivi. Nei giorni di festa poi, i grandi saloni del piano nobile erano aperti ad ospiti illustri che non disdegnavano di partecipare ai balli organizzati dai padroni di casa o di intrattenersi con il gioco delle carte. I fasti di Maeggio andarono ben oltre la fine della feudalità, ma l’abolizione del maggiorascato, antico istituto che consentiva di trasmettere le proprietà indivise al solo primogenito, e il mancato inserimento dell’agricoltura siciliana nei mercati internazionali, segnarono l’inizio di un inarrestabile declino produttivo.
Alla morte di don Giuseppe, nel 1822, l’ex feudo e la villa furono frazionati in tre quote, due spettanti al primogenito Michele e la terza al fratello sacerdote.
L’intero complesso, fino a pochi anni fa abitato da una famiglia di allevatori di bestiame, è ora abbandonato ed in evidente stato di degrado. Folte erbacce infestano il prospetto principale, i tetti specie quelli del piano basso sono cadenti, gli infissi lignei mancanti.
La dimora dei Bonanno, da molti considerata una dei capolavori dell’architettura siciliana del Settecento, rischia di non resistere ancora per molto all’incuria del tempo e alla mano inclemente dell’uomo.
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Tratto da: Massae, massari e masserie siracusane
di Marco Monterosso, Ed. Morrone 1999