San Marco: la masseria “Donna Giulia”

All’interno del territorio del comune di Noto si estende contrada San Marco, località molto conosciuta ed apprezzata dagli escursionisti siracusani specie per la bontà di alcune limpide sorgenti d’acqua che vi sgorgano. La zona deve il suo nome proprio ad un omonimo piccolo corso d’acqua, affluente del vicino fiume Manghisi-Cassibile. Nelle diverse cave che solcano la zona, si trovano numerose tracce della presenza dell’uomo che le abitò in epoca preistorica ma anche, molti secoli dopo, in quella bizantina. Le genti bizantine che abitavano la costa, per sfuggire all’invasione islamica, si rifugiarono infatti nell’entroterra riutilizzando spesso anche gli antichi insediamenti preistorici. Uno dei complessi bizantini più importanti è certamente il cosiddetto cenobio di San Marco, insediamento monastico rupestre del VI-VII secolo.
Il monastero di San Marco, primo esempio di architettura semirupestre nel siracusano, venne edificato in epoca bizantina per ospitare una comunità eremitica che seguiva le regole di sant’Antonio Abate. La chiesa era in parte racchiusa all’interno di un’ampia grotta naturale dove erano scavate le absidi delle tre navate dell’edificio sacro. Alla fine delle quali si possono ancora rinvenire i resti degli altari e le tracce di affreschi pressoché illeggibili a causa del degrado e dell’uso improprio del sito (addirittura, come ovile fortificato) dopo il devastante terremoto del 1693. Ma la chiesa di San Marco si contraddistingue anche per la presenza del battistero, riconoscibile nella piccola cappella rettangolare con volta a botte, collegata alla chiesa da un atrio comune, dalla cui abside incisa nella roccia sgorgava l’acqua. Le altre cavità che contornavano quella principale con la chiesa erano invece adibite a romitorio per i monaci. (cit: https://eremos.eu/index.php/sicilia/)
Sappiamo che il territorio di San Marco, conosciuto anche come “Catarchini”, fu costituito in feudo dai conquistatori normanni che scacciarono gli Arabi dalla Sicilia. Agli inizi del Trecento il feudo risulta in possesso di Accardo Barba, successivamente venne assegnato in dote ad una delle figlie di questi andata in sposa al medico Bartolomeo de Notho de Barbalato (o Barbulato). Nel 1408 risulta in possesso di Attardo Barbulato, nel 1418 il feudo fu venduto al nobile netino Nicolò Speciale finché, agli albori del XVI secolo, passò per via maritale ai Barresi. I signori di Militello, nel 1588, lo vendettero a Ferdinando De Marchisio. Il 26 Giugno 1655 San Marco entrò in potere di Antonio De Lorenzo, la cui famiglia tenne il feudo, con gli inevitabili rimaneggiamenti territoriali subiti nel corso dei secoli, fino quasi ai giorni. All’interno dell’ex feudo su di un poggio posto tra le cave Buongiorno e Putrisino, che conducono rispettivamente le acque del San Marco e quelle sorgive di Testa dell’acqua, i De Lorenzo edificarono, alla fine del XIX secolo, una grande masseria.
La costruzione, indicata topograficamente come “Case di Donna Giulia”, probabilmente deve il suo nome a Giulia Dejean (1850 – 1932) sposa del marchese De Lorenzo, non presenta particolarità architettoniche rilevanti tuttavia le sue ancor buone condizioni consentono di individuare le linee guida seguite nella costruzione delle masserie siciliane. L’edificio rappresenta una sorta di modello di riferimento per comprendere lo sviluppo modulare conferito dai committenti agli edifici rurali del tempo. I diversi “corpi di fabbrica” nonostante fossero realizzati anche a distanza di diversi anni l’un l’altro, erano armoniosamente inseriti nel complesso d’insieme dell’edificio. L’aspetto finale, che si concretizzava nel raccoglimento simmetrico dei diversi edifici attorno ad una corte quadrangolare, era raggiunto gradatamente. La masseria Donna Giulia è formata da due grandi ambienti utilizzati come ricovero per gli animali, da un unico vano posteriore utilizzato come fienile e da un corpo edilizio frontale che, frammezzato da un grande arco, determina la formazione di due piccole stanze usate come abitazione.
Al centro della corte in pietra viva fu scavata una cisterna, dotata di un grande abbeveratoio per gli animali. Anche se l’elemento difensivo dell’edificio non appare eccessivamente pronunciato dovette essere certamente considerato, la masseria appare infatti quasi riversa al suo interno.
Tratto da: Massae, massari e masserie siracusane
di Marco Monterosso
Editore Morrone – Siracusa, 1999