Cavadonna: il tenimento della Chiusazza

Il feudo di Cavadonna, uno dei più vasti del nostro territorio siracusano, si estendeva nell’agro siracusano nella zona ora delimitata dalla strada statale Mare-Monti e dal vallone Cavadonna. Il feudo, anche per consentire una chiara identificazione dei suoi sterminati luoghi, era frazionato al suo interno in numerose contrade che erano comunemente conosciute come: “Chiusazza”, “Casulle”, “Pagghiarazzi”, “Trifanaiti” e “Quartararu”.
Nella prima di queste contrade la famiglia Francica Nava, proprietaria per oltre due secoli del feudo di Cavadonna, edificò un grande caseggiato rurale per il soddisfacimento delle attività contadine.
Il solo luogo della Chiusazza, che deriva il suo toponimo dal vocabolo siciliano “chiusa” che vuol dire luogo delimitato da muri a secco o comunque recintato, era esteso ben 27 salme (oltre 90 ettari). I terreni della Chiusazza erano condotti prevalentemente a vigneto, oliveto e seminativo ma la zona era anche molto praticata per via di un ottima pietra da taglio che si ricavava da una vicina cava, concessa annualmente in gabella dai proprietari.
Ai margini della tenimento della Chiusazza i Francica Nava avevano già dai primi del Settecento costruito una grande masseria che serviva ad ospitare tra l’altro i numerosi braccianti che specie nel periodo del raccolto affollavano le campagne.
Alla morte di Giovanni Francica Nava le terre della Chiusazza divennero di proprietà del figlio secondogenito Orazio che ingrandì l’edificio apportando numerose modifiche strutturali. Il nuovo proprietario costruì una casa su due piani per la sua famiglia, ingrandi la corte e realizzò un nuovo frantoio e diversi magazzini. Ancora oggi nell’arco d’ingresso della masseria si può leggere:
LE STANZE, LA CORTE, L’INFRANTOIO E I MAGAZZINI
IL MAGGIORE ORAZIO FRANCICA NAVA AREZZO
A COMODO DI SÉ E DEI SUOI FECE L’ANNO 1842
Seppur i terreni della Chiusazza, ora trasformati in agrumeto, sono visibilmente ben curati lo stesso non può dirsi per la grande masseria dei Francica Nava. Molti ambienti presentano i tetti cadenti, la mancanza degli infissi e profonde crepe che fanno temere imminenti crolli. Le modalità della conduzione agraria contemporanea riducendo il numero di addetti per ettaro, e venendo a mancare inoltre la necessità di garantire loro un abitazione, hanno reso totalmente antieconomica la gestione di una grande struttura come quella della Chiusazza. Ancora una volta si deve considerare che solo una diversa destinazione produttiva, rispetto a quella originaria, potrebbe permettere il ripristino delle strutture, altrimenti destinate a non reggere ancora a lungo l’incedere del tempo.
Tratto da: Massae, massari e masserie siracusane di Marco Monterosso Editore Morrone – Siracusa, 1999