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Falconara: la villa San Giacomo

Falconara: la villa San Giacomo

Nella fascia costiera siracusana, a pochi chilometri dal “caricatore” (porticciolo) di Calabernardo, si estendeva l’enorme territorio del feudo Falconara la cui storia rimase strettamente legata alle vicende della città di Avola e dei suoi feudatari.
La famiglia Aragona ricevette la città di Avola il 23 Aprile 1361 per mezzo di Rolando, figlio naturale dell’imperatore Federico il Semplice. Successivamente entrati in possesso per via maritale anche di Terranova (l’odierna Gela) e Castelvetrano, i signori di Avola, che assunsero anche i cognomi Tagliavia e Pignatelli concentrarono nelle loro mani un enorme potere economico che consentì loro di ascendere al ruolo d’indiscussi protagonisti della scena politica del regno. Gli Aragona che s’investivano di Avola insieme ai feudi Chiuse di Carlo e Falconara, furono generalmente lontani da loro interessi siciliani risiedendo presso la corte spagnola a Madrid o a Napoli.

Il feudo di Falconara esteso ben 350 salme (1170 ettari circa), confinava a Sud con il mare, a Nord con le tenute Gioi Piccoli, Madonna della Marina e Zupparda, a Ovest con il feudo detto della Piana, appartenente all’abbazia netina di Santa Maria dell’Arco, ed a Est con la fiumara di Noto. Le terre di Falconara, così come gran parte del patrimonio terriero dei maggiori feudatari del regno erano concesse in enfiteusi ma da una relazione della fine del Seicento, redatta dal procuratore dei marchesi d’Avola, sappiamo che si sconoscevano sia i censi sia l’estensione dei lotti concessi. Sulle tenute Coffitella, Promilli, Bonizito, Croce e S. Elia, tutte appartenenti al feudo Falconara, i cittadini di Avola e quelli di Noto esercitavano liberamente lo “jus pascendi” (diritto di pascolo). Anche parte dei luoghi in cui, a seguito del terremoto del 1693, fu riedificata la città di Noto, appartenevano al territorio del feudo degli Aragona, tuttavia i signori di Avola non ricevettero mai il compenso che richiesero quale indennizzo. L’abolizione della feudalità e la conseguente rescissione dei contratti soggiogatari, che gravavano buona parte dei patrimoni nobiliari, portò all’alienazione di grandi quantità di beni terrieri per ripagare i debiti contratti nel corso dei secoli. Gli Aragona perdettero così, oltre alle baronie di Avola e Casteltermini, sette ex feudi e 45 tenute per un totale di ben 12.593 salme (oltre 42.000 ettari) corrispondenti però solo al 62% del loro patrimonio terriero. Ad avvantaggiarsi della dismissione delle terre siracusane dei feudatari d’Avola furono generalmente membri dell’aristocrazia netina: i Nicolaci, i Landolina, gli Impellizzeri che avviarono una notevole attività edilizia con la costruzione di grandi edifici residenziali e produttivi.

Lungo la strada che collegava il caricatore di Calabernardo alla città di Noto, i Landolina realizzarono un’ampia costruzione “palazzata”, anche se l’indicazione topografica “villa San Giacomo” fa supporre il successivo possesso degli Impellizzeri, che si fregiavano di questo titolo. La grande masseria è dotata di un ampio muro di cinta che ingloba l’ampio orto della tenuta e un bel giardino con fontana, che doveva servire ad allietare le calde giornate estive dei proprietari. Sia l’orto sia il ridente giardino della villa erano irrigati mediante una lunga e articolata canalizzazione che si dipartiva da un vicino pozzo. Il prospetto principale, rivolto verso il litorale, si apre in una piccola corte su cui si staglia una sorta di torretta merlata. L’edificio è posto non al centro della cinta muraria ma al suo estremo delimitando anch’esso, con le sue mura, il perimetro dell’area interessata dalla costruzione.
Villa San Giacomo, oggi utilizzata solo per i suoi magazzini terrani, è in discrete condizioni, visitandola si avverte una sorta di triste consapevolezza che difficilmente ritornerà a vivere i fasti del suo recente passato.

Tratto da: Massae, massari e masserie siracusane
di Marco Monterosso
Editore Morrone, Siracusa, 1999

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