La tonnara di Marzamemi

Il toponimo Marzamemi deriverebbe dalle parole arabe marsa e memi da cui “porto piccolo”, secondo Corrado Avolio, autore nel 1899 di un saggio di toponomastica siciliana, deriverebbe invece da marsà al-ḥamāma, cioè “baia delle tortore”. Il borgo nacque, probabilmente agli inizi del Seicento, quando, nei pressi del piccolo porto naturale, fu realizzata una tonnara. Gli atti attestano che nel 1648 la tonnara risultava concessa in gabella a Mariano Nicolaci anche se è probabile che la gestione fosse la prosecuzione di un precedente contratto. Nel 1651 venti soldati a mano armata, agli ordini degli ufficiali di Noto, fecero irruzione nei magazzini della tonnara per sequestrare il prodotto del pescato di quell’anno del valore di 170 onze. Dopo le rimostranze del Nicolaci, un’indagine fiscale rilevò che non era possibile avere notizie sulle annate precedenti poiché “rare volte innanzi l’anno 1650 si solia calare, perché non era così bene sperimentata e prendea pochi pesci “. Un secondo accertamento, quando l’esercizio di pesca era ormai ben collaudato, segnalava invece conclusioni assai diverse: “La tonnara di Marzamemi, antica e famosa, può levare 400 pesci, in un’ammazzata e può tenere tra la camera sola 1000 pesci, però con la porta serrata se c’è maltempo o correnti. Ha pigliato detta tonnara l’anno passato (1655) 4500 pesci”.
Intanto nel 1655, le tonnare di Marzamemi, Vendicari, e Santa Panagia, poste in vendita dal regio demanio, furono acquistate per 9.000 onze da Simone Ignazio Calascibetta giudice della regia Corte criminale di Palermo e membro del Sacro regio consiglio di Sicilia. Il Calascibetta dopo l’acquisto, che dava diritto anche al titolo di barone, rinnovò la concessione ai Nicolaci e nel 1669 gli concesse pure quella di Vendicari. Il fruttuoso esercizio delle tonnare consenti ai Nicolaci di introdursi a pieno titolo tra i ranghi dell’aristocrazia feudale netina acquistando, in poco più di un secolo, i feudi di Bonfalà (1701), Fegotto (1715), Regalcaccia (1717), Gisira di Pagano (1724) e Pirato superiore (1808). Nella prima metà del ‘700 Corrado Nicolaci riuscì anche ad elevare il suo casato al rango principesco, acquistando, dal marchese di Spaccaforno, il titolo di principe di Villadorata.
A partire dal 1752 i Nicolaci – che, pur sempre gabelloti, dovevano provvedere ai benfatti cosi come stabilito nei diversi contratti – avviarono una profonda azione edificatoria che riguardò a Marzamemi: la residenza signorile, la chiesa dedicata a San Francesco di Paola, gli alloggi del personale dipendente, i locali per il ricovero delle barche “scieri” e degli ordigni di pesca e due grandi cisterne per la raccolta dell’acqua da utilizzare come scorta estiva. Cosicché, specie dopo essersi affermata definitivamente alla fine del secolo la colonizzazione della “nuova terra” di Pachino ad opera degli Starrabba, “il porticciolo di Marzamemi divenne molto attivo e la pesca si sganciò da quella stagionale dei tonni, con un progressivo accrescimento dell’abitato, che cominciò ad assumere l’aspetto di un piccolo centro urbano”.
L’impianto di Marzamemi proseguì nella sua straordinaria continuità possessoria e di esercizio fino alla prima metà dell’Ottocento anche se non tutti gli anni si calavano le reti, per cautelare un regolare passo dei tonni. La grande quantità di tonni catturati potendo essere venduta a fresco solo in piccola parte, era salata e conservata in botti, costituendo notevoli scorte. Successivamente il calo divenne annuale.
A partire dagli anni ’30 dell’800 l’impianto di Marzamemi, fino ad allora considerato il migliore tra gli esercizi di “ritorno” del Regno e ancora di proprietà della famiglia Calascibetta, subì una serie di “magre stagioni” che spinsero i proprietari a disfarsene in favore dei loro antichi gabelloti. Nel 1868 il principe Corrado Nicolaci ne risultava ormai formalmente proprietario. Negli anni ’80 Ottavio Nicolaci, che aveva preso a censo anche le tonnare di Terrauzza, Ognina, Fontane Bianche, Fiume di Noto, Stampace e Vendicari, rivoluzionando le modalità di pesca, ottenne risultati strabilianti con mattanze che superavano i 4.000 tonni. Alla fine del secolo il notevole incremento del pescato spinse i Nicolaci, ad intraprendere la costruzione di un grande stabilimento per la conservazione e l’inscatolamento. Dopo l’edificazione dello stabilimento “venne eretto anche un grande contenitore per il ricovero delle “speronare“, veloci imbarcazioni a vela, di circa 15 metri di lunghezza che portavano il tonno sui mercati di Malta, ed un magazzino lungo la strada per Pachino, comprendente la zona di cottura ed un cortile per i lavori all’aperto. Altri manufatti sorsero lungo il porticciolo insieme ai depositi per il mosto, da trasportare ai luoghi di consumo”.
I costi di manutenzione e approntamento sempre più gravosi e, dal 1930, gli ingenti aumentati salariali dovuti all’introduzione dei primi contratti collettivi, segnarono di fatto la fine dell’epopea del tonno a Marzamemi. Nel 1935 l’inaugurazione del collegamento ferroviario Noto-Pachino rese inutilizzati anche i magazzini del vino posti lungo il porticciolo, piccole industrie artigianali, ormai indipendenti dall’azienda Villadorata, li adibirono alla salagione del pesce azzurro.
Fonte principale:
A. LIPPI GUIDI, Tonnare tonnaroti e malfaraggi della Sicilia sud-orientale, Zangarastampa Siracusa, 1993