La tonnara di “Santa Panagia” a Siracusa

Secondo alcune fonti, la tonnara di Santa Panagia veniva calata già nel XV secolo e si presume fosse condotta da Enrico Ruffino, consigliere della stessa Camera Reginale che gliene aveva concesso la gestione. Il 14 febbraio 1655, il giudice Simone Ignazio Calascibetta comprò dal regio demanio (la Camera Reginale era stata soppressa nel 1537) alcune tonnare del litorale siracusano: Santa Panagia, Vendicari e Marzamemi, per un valore complessivo di 9.000 Onze, compreso il titolo di barone, tramandabile agli eredi. Nel 1668 il Calascibetta, con atto di donazione, trasferì le tonnare di Marzamemi e Vendicari al figlio Domenico Girolamo mentre la tonnara di Santa Panagia “existente in territorio et mari civitatis siracusarum” toccò all’altro figlio di nome Odoardo. Questi, conosciuto come “barone di Santa Panagia”, s’impiantò stabilmente a Siracusa dove, nel 1671, sposò Maria Mazara. Grazie a questo matrimonio nel 1677 fu ammesso alla “mastra nobile” ed eletto, per quattro bienni, giurato del senato cittadino (1680-81; 1684-85; 1688-89; 1691-92). Nel 1674 la rivolta di Messina contro il regime spagnolo aveva intanto offerto alla Francia una occasione unica per invadere la Sicilia, la costa orientale dell’isola fu cosi oggetto di frequenti attacchi da parte della flotta francese che, tra il 1675 e il 1676, espugnò Augusta e saccheggiò Melilli. In quegli anni la posizione della tonnara di Santa Panagia ne faceva senza dubbio un bersaglio sensibile, fu cosi che il proprietario, non potendo esercitare la pesca in quei luoghi, fu costretto a fortificare il sito e trasferire momentaneamente le attività più a sud, verso lo scalo “più riparato” dei Cappuccini. Nel rivelo (censimento) del 1682, Odoardo Calascibetta dichiarava di possedere una “tonnara esistente nel territorio di Siracusa e mare d’essa chiamata la tonnara seu tono di S. Panagia confinante con il terreno detto mare nominato del fegho di S.ta Lucia”.
Dal matrimonio con Maria Mazara nacquero quattro figli: Giuseppe, Giovanni, Lucia e Caterina. Odoardo, morto nel 1692, lasciò erede della tonnara il primogenito Giuseppe che nel 1712, sposò a Catania Casimira Ramondetta. Come il padre, anche Giuseppe, si distinse nella scena politica siracusana: nell’arco di vent’anni, infatti, rivestì la carica di Giurato nobile (1719-20; 1741-42), Capitano di Giustizia (1725-26; 1738-39) e Senatore (1731-32; 1733-34;1736-37). Dopo il disastroso terremoto del 1693, che provocò solo a Santa Panagia la morte di venti persone, la tonnara, anche a causa della stagnazione economica causata dalla guerra di successione (1701-1715), dovette sospendere per oltre un decennio le proprie attività. Nel 1747 la morte senza eredi di Giuseppe Calascibetta rese proprietarie della tonnara le nipoti Francesca e Anna Maria Bonanno figlie di Lucia Calascibetta, sorella di Giuseppe. Tra il 1764 e il 1782 le due sorelle Bonanno, avviarono una vasto programma di costruzioni che cambiò radicalmente la fisionomia dell’insenatura di Santa Panagia che da semplice “malfaraggio” divenne un vero e proprio centro logistico per la pesca. Opere e ammodernamenti furono eseguiti per le nuove esigenze specialistiche della tonnara: residenza del gabelloto, alloggi del personale, locali per la lavorazione del tonno, chiesa, ricovero delle imbarcazioni e magazzini della “robba per la pescagione”.

All’indomani dell’unificazione le tonnare siciliane vivevano un periodo di profonda crisi che portò diversi imprenditori a ridurre o addirittura sospendere le loro attività. La ripresa economica però, a cominciare dal 1896, con la fine del periodo crispino, stimolò in quasi tutta l’isola numerose iniziative di tipo imprenditoriale nel settore della pesca. Si andava manifestando in quegli anni un interesse di alcuni imprenditori (specie liguri) che, a partire dagli anni 80 dell’800, investirono parte dei loro capitali per la realizzazione, in Italia e all’estero, di moderni stabilimenti conservieri dotati di macchinari all’avanguardia. Il nuovo metodo d’inscatolamento del tonno sott’olio introdotto nel 1878 dai Parodi di Genova fu “una vera riforma radicale e vantaggiosissima dell’industria […] senza pericolo di compromettere la merce o rischio di capitali”. A cavallo tra otto e novecento l’industria della pesca nella provincia di Siracusa impiegava più di cinquemila uomini e un capitale pari a un milione di Lire l’anno, i baroni Bonanno, dunque, compresero immediatamente le questioni intorno al “futuro” della loro tonnara e decidendo di allargare i loro interessi economici oltre i confini locali.

In particolare l’abbondante pesca del 1899, stimolò i proprietari a potenziare il vecchio opificio “secondo un razionale ordinamento ed applicazione di meccanismi” tramite impianti moderni e in grado di garantire la massima autosufficienza possibile. Il 14 gennaio 1900 fu cosi stipulato il contratto tra Michele Bonanno, barone di Maeggio e Giovanni Alberti, procuratore dell’imprenditore genovese Fosco Cipollini, per “impiantare nella tonnara Santa Panagia di Siracusa la lavorazione del tonno sott’olio”. Le nuove opere necessarie all’industria del tonno sott’olio comprendevano nuovi magazzini, sale di confezionamento e strutture di servizio per tutti gli addetti, una vasta area aperta denominata “grande campo” era destinata alla lavorazione del pescato.

Tra il 1902 e il 1911, il complesso subì un’ulteriore trasformazione con i lavori di ampliamento e restauro del vecchio caseggiato che furono essenziali per il crescente numero di operai impiegati nello stabilimento e per la lavorazione del tonno in più larga scala. Gli interventi che riguardarono le “opere aggiunte allo stabilimento del tonno sott’olio” consentirono di riadattare una vecchia stalla a dormitorio, realizzare una “nuova casetta dei marinai” e costruire l’alloggio del direttore. Il grande campo, dove si lavorava il pescato, fu ampliato e dotato di una “caldaia a fornello California”, furono costruite alcune latrine per gli operai e realizzata la base in muratura per la “batteria a due fornelli” dotata di una ciminiera. I lavori interessarono anche la parte est del caseggiato della tonnara, il restauro della vecchia chiesa settecentesca, la costruzione di un alloggio per il “razionale” e lo spianamento della piazzetta antistante la loggia. Nel 1911 i lavori furono completati con la costruzione di una grande tettoia per coprire il “barcareccio della tonnara”, la struttura, realizzata in legno di abete e coperta da un manto di tegole, era sostenuta da 16 pilastroni in “pietra da taglio di arenaria compatta delle migliori cave dell’ex feudo Targia”.
Nel 1938 la tonnara, in forte passivo, venne ceduta all’armatore siracusano Carmelo Cappuccio il quale la tenne sino al 1951 quando la ritrasferì, ormai dismessa, a Pier Nicola Gargallo. Negli anni ottanta l’impianto, ormai abbandonato, fu espropriato dalla regione siciliana che voleva trasformalo in “museo del mare”. Da allora, nonostante gli oltre 5 miliardi di Lire spesi nel 1998, la tonnara di Santa Panagia resta ancora oggi un luogo abbandonato e in balia di incomprensibili atti di vandalismo. Una vicenda davvero aberrante che, tra ritardi, omissioni e infiniti ricorsi, si trascina colpevolmente da oltre 40 anni.
Fonti:
F. FAZIO, I luoghi per la lavorazione del tonno in Sicilia. L’opificio di Santa Panagia tra sviluppo e modernità (1766-1911)
in M. LEONARDI (a cura di) L’uomo e le acque nella storia e nella cultura euro mediterranea, Viagrande (CT) 2019
A. LIPPI GUIDI, Tonnare tonnaroti e malfaraggi della Sicilia sud-orientale, Siracusa 1993