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1489: Alagona di Palazzolo contro Ventimiglia di Buscemi

1489: Alagona di Palazzolo contro Ventimiglia di Buscemi

Nella seconda metà del Quattrocento Palazzolo e Buscemi sono sotto la signoria feudale rispettivamente degli Alagona e dei Ventimiglia, rami collaterali di due tra le più blasonate famiglie aristocratiche siciliane.
Gli Alagona entrarono in possesso di Palazzolo nella seconda metà del Trecento quando Matteo, figlio di Blasco (II) conte di Mistretta, avendo sposato Bartolomea Castellar, ne divenne signore “maritale nomine”. Nel 1392 Matteo Alagona, poco prima della sua morte, dichiarato ribelle, subì la confisca di Palazzolo che già nel 1405 fu però restituita a Bartolomea Castellar, considerata estranea alla ribellione del marito. Dopo diversi passaggi di proprietà, tutte all’interno dell’asse ereditario familiare, nel 1479 s’investi di Palazzolo Andrea Alagona, sposo di Isabella Santapau, figlia del barone di Licodia.

Buscemi era invece in potere dei Ventimiglia almeno dal 1307 quando Guglielmo, figlio di Enrico, conte di Geraci, sposando Damigella, erede di Giordano Canelli, signore di Buscemi, la ricevette in dote. Nel 1453 Buscemi giunse nelle mani di un discendente di Guglielmo di nome Gaspare. Quando questi mori, nel 1485, il primogenito ed erede Giovanni era già stato bandito dalla Regia Gran Corte per l’omicidio di un tale di nome Nunio de Fonte. Non appena Giovanni divenne legalmente erede il fisco gli sequestrò tutto: il castello e la terra di Buscemi, il feudo di Barchino e le rendite che erano state di Gaspare. La vedova Caterina Statella e i suoi 12 figli erano però talmente sul lastrico che re Ferdinando il 18 dicembre 1485 ordinò che il tutto le venisse restituito con la forma della commenda (in affidamento). Non sappiamo se Giovanni Ventimiglia riuscì a rientrare in possesso dei suoi beni ma è certo che, nonostante il delitto di cui si era macchiato, continuava a “signoreggiare” su Buscemi.

I destini di Andrea Alagona e Giovanni Ventimiglia si legarono tristemente nell’autunno 1489, quando durante una battuta di caccia, il barone di Palazzolo uccise quello di Buscemi. I fatti sono giunti fino a noi riportati da Alessandro Italia che nel suo “La Sicilia feudale” (1940) riporta anche un interessante dialogo in volgare quattrocentesco, forse ricavato dagli atti di un processo.

“Ad un tratto un cinghiale sanguinante e grugnente, traversò le basse e torbide acque del torrente che divide le due giambre, per nascondersi nella macchia ove trovasi lo Alagona. Il cinghiale era stato stanato dal giovane conte di Buscemi, Giovanni di Ventimiglia, il quale apparso sull’alto del ciglio, grido: heia… heia… heia casa di Palazzolo lo cinghiale est mio. Il barone Andrea usci dalla macchia e rispose: Messer lo conte, vostra signoria have diritto allo cinghiale, ma io solo posso ucciderlo nella terra degli Alagona et vi proibisco di entrarci. Il conte Giovanni alteratamente ribatté: Messer lo barone, vostra signoria non pratica usanza di cavalleria, la fiera est mia, perché stanata e ferita da me, proviene dalla giambra dello barone di Cassaro et io posso inseguirla ovunque. Ciò detto, discese il ripido pendio, e seguito dalla comitiva, guadò il torrente e penetrò nel territorio del Bibino. Il barone Andrea tentò d’impedire la pretesa, avvalendosi del suo dubbio diritto. Ma improvvisamente, il conte Giovanni, in un eccesso di giovanile baldanza, colpi con lo scudiscio lo Alagona che, reagendo all’offesa gli fu subito addosso e lo pugnalò.”

Alessandro Italia chiude la vicenda informandoci che, malgrado la potenza dei Ventimiglia, Andrea Alagona, chiamato a rispondere dell’omicidio, fu mandato assolto. In realtà secondo Trasselli (Da Ferdinando il Cattolico a Carlo V, vol. 2, 1982) la mancanza di un processo contro Andrea Alagona, date le condizioni dei nostri archivi, significa poco. “Può supporsi infatti che Giovanni Ventimiglia nel 1489 fosse ancora bandito e, poiché non conosciamo i termini del bando, è lecita l’ipotesi che fosse promessa l’impunità per la sua morte”.

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