Il monastero di San Pietro a Itàla (ME)

Il monastero di San Pietro a Itala è una delle più importanti espressioni della presenza spirituale del monachesimo basiliano in Sicilia. I primi monaci di rito greco si trasferirono dall’oriente, nelle provincie meridionali d’Italia, già nel VII secolo, sotto l’incalzare dei musulmani ma soprattutto dopo il clima di persecuzione che segui all’editto del 726, dell’imperatore bizantino Leone III Isaurico, con il quale si ordinava la distruzione delle immagini sacre e delle icone in tutte le province dell’impero (iconoclastia). Quando, dopo la dominazione araba della Sicilia, i normanni conquistarono l’isola tutelarono i centri spirituali basiliani superstiti e, con ricche donazioni, favorirono la fondazione di nuovi monasteri. Quello di San Pietro a Itala fu fondato da Ruggero d’Altavilla nel 1093, probabilmente in una zona in cui si svolse una dura battaglia con numerosi caduti. I soldati morti vennero sepolti proprio in una fossa comune in quella che oggi è la piazza antistante la chiesa.
Davanti a me ti presentasti Tu, venerabile Gerasimo, e, udita la tua petizione, ti diedi e concessi, in questa isola di Sicilia, occasione et causa di edificare una Chiesa e un Monastero dedicato al Santo Corifeo Apostolo Pietro in casali vocato et nominato Gitala, per costruzione ivi del predetto Monastero, dedicato al Principe degli Apostoli, per abitazioni monastiche, nelle quali abitazioni devesi celebrare il culto divino, nella forma e tradizione in uso nella stessa isola di Sicilia.
Dal 1131, su disposizione di Ruggero II, San Pietro dipese dal monastero del Santissimo Salvatore di Messina, il cui egumeno (abate), assumendo il titolo di archimandrita, controllava gran parte dei monasteri di rito greco del regno. Nel Trecento era ancora considerato un monastero fiorente e ricco e nel 1398 il suo abate, investito del titolo di Barone di Alì e Itala, ebbe accesso al braccio ecclesiastico del parlamento siciliano.

Dal punto di vista architettonico “la chiesa di San Pietro di Itala si caratterizza per il tradizionale impianto basilicale a tre navate suddivise in quattro campate da arcate ogivali che si slanciano dalla base di capitelli a forma di campana su cui sono scolpiti dei vegetali secondo uno stile caratteristico delle decorazioni islamiche. Di evidente richiamo paleocristiano è invece la copertura della navata centrale a doppio spiovente con capriate lignee che diviene unico nelle navate laterali. Analogamente, il presbiterio, che risulta rialzato rispetto al piano dell’aula, presenta tre absidi semicircolari visibili anche all’esterno. In corrispondenza della campata centrale si trova una struttura turrita, abbondantemente rimaneggiata e coronata da una cupola emisferica poggiata su tamburo a nicchie angolari cilindriche sui cui lati quattro finestrelle danno luce al presbiterio. Esternamente l’edificio si caratterizza per la complessità del disegno determinato dall’intreccio di pietra calcarea e laterizio nonchè per l’alternanza di archi trilobati ed a rincasso, alternativamente ciechi e luciferi”.
Oggetto di pensanti e rozzi interventi tra XVIII e il XIX secolo, viste le fatiscenti condizioni, la chiesa rischiò di essere demolita. Nel 1925, grazie all’intervento di Enrico Calandra, ne fu disposto il restauro che riportò alla luce la facciata originale.
Foto e fonti: ICCD, Itinerari culturali del medioevo siciliano, Le chiese basiliane